Jerry Calà: Regista e Giacomo
Don Johnson: Nico
Paolo Villaggio: Il padre di Giacomo
Enzo Iacchetti: Ivano
Tosca D'Aquino: Francesca
Giacomo
torna a vivere da solo, dopo l'avventura in solitaria di 26 anni fa
raccontata in Vado a vivere da solo, lo stesso personaggio decide
nuovamente di abitare il suo appartamento (che oggi però si chiama
loft) con il medesimo arredamento kitsch (ma aggiornato) e le medesime
grane. A cambiare è il contesto intorno a lui. Alla voglia di
indipendenza dai genitori si sostituisce l'insofferenza matrimoniale e
alle avventure sessual-romantiche si sostituiscono tradimenti e
intrecci con le mogli ed ex-mogli dei cosìddetti amici. Alla fine
ovviamente non mancherà la morale sul fatto che poi sono i figli a
rimetterci.
Dopo Vita smeralda Jerry Calà torna davanti e dietro la
macchina da presa per un film che si inserisce nel filone dei "grandi"
recuperi delle commedie anni '80. Eppure Torno a vivere da solo, non
solo è meglio dei vari ritorni di Monnezza e Mandrake ma anche meglio
di molto cinema cinepanettonistico e dello stesso precedente Vita
smeralda.
Un po' di umorismo senza pretese ma riuscito, un po' di
cattiveria elargita senza fare sconti e un po' di autoironia e cadute
sul trash spinto (Don Johnson doppiato con un pesantissimo accento
meneghino) rendono Torno a vivere da solo insospettabilmente decente e
in fondo in linea con il suo "illustre" antecedente.
Jerry Calà non
si vergogna di mettere in mostra se stesso, di girarsi un film addosso
riprendendo davvero l'arroganza degli anni '80, scrivendo (si, l'ha
scritta lui) una storia maschilista al massimo e che trattando con
forza il tema del divorzio distribuisce le ragioni a senso unico, senza
la minima velleità di politicamente corretto, e infine non teme il
ridicolo del metacinema sui suoi tormentoni ripetuti guardando in
macchina.
Anche le musiche di Umberto Smaila, totalmente fuori dal
tempo e quindi incredibilmente azzeccate, contribuiscono nel complesso
a creare un mood nostalgicamente trash in cui alla fine non stona
nemmeno Eva Henger placida madre di famiglia inguainata in abiti di
pelle. Quanta di tutta questa ironia sia volontaria è difficile a dirsi
ma il risultato paga, sempre che non si abbiano aspettative eccessive.
Forse di tutti i recuperi delle commedie italiane anni '80 questo è il meno trascurabile.
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